La maggior parte dei gruppi entra
in studio con un’idea anche solo approssimativa del risultato desiderato. Per i
Queen di solito valeva il contrario. Varcata la soglia aspettavano di vedere
cosa gli ronzava in testa. La data e la durata della registrazione di qualsiasi
album venivano definite dopo che la band si era consultata con Jim Beach, ma
chiaramente il complesso doveva rispettare i termini contrattuali stabiliti con
la EMI e con le case di distribuzione. In genere i Queen si assicuravano almeno
sei mesi per effettuare le registrazioni: un lasso di tempo che avrebbe
permesso di rilassarsi e di ricaricarsi durante il periodo intenso e turbolento
di work in progress. Al tempo, nel corso delle session, la band poteva
concedersi il lusso di occupare uno studio di incisione in pianta stabile,
senza che nessun’altro vi avesse accesso finché glielo consentiva il contratto
stipulato con i discografici.
All’inizio mi stupì constatare
che persino a quel punto della carriera i quattro si ritrovavano raramente tutti
insieme in studio. Se accadeva era per una riunione. Per scherzo dicevamo che i
Queen dovevano essere l’unico gruppo al mondo a cui i meeting tra i componenti
poteva costare un migliaio di sterline, forse il più caro in assoluto. Disponevano
di un quartier generale magnifico, ma era di gran lunga più probabile farli
incontrare tutti e quattro in studio che riuscire a riunirli attorno al tavolo
della sala assemblee.
Tranne che in queste occasioni,
Jim Beach si vedeva di rado, malgrado vivesse e lavorasse a Montreux, mentre
Paul Prenter, personal manager della band, supervisionava le session con
assiduità. Io presenziavo, assieme al partner del momento di Freddie, agli
amici del resto del gruppo e alla solita combriccola di tirapiedi. Durante le
registrazioni poteva esserci fino a una dozzina di persone che bazzicava lo
studio.
Quando i Queen componevano non c’erano
schemi prestabiliti: non si partiva per forza da un’idea sviluppata da Freddie
e Roger o rielaborata da Brian e Freddie, ma il contributo di ciascuno
dipendeva dagli eccessi della notte precedente. Il produttore/ tecnico di
studio e il recordista dovevano essere sempre pronti a precipitarsi dietro il
banco per una session improvvisata alle due di notte. La presenza in studio di
chi si occupava della produzione era una certezza, ma non si poteva dire
altrettanto per i musicisti, che spesso si facevano attendere. Reinhold Mack
curò la produzione e l’incisione di HOT SPACE. Mack (nell’ambiente ci si
riferiva a lui in questo modo ) viveva a Monaco e collaborava frequentemente
con Giorgio Moroder nei Musicland Studios della città, di proprietà dello
stesso Moroder.
Con i Queen la prassi era la
seguente: ogni giorno le session di registrazione iniziavano intorno alle due
del pomeriggio, senza sapere quando sarebbero terminate. A volte andavano
avanti per tutta la notte, fino alle prime ore del mattino. A seconda di quanto
prodotto in studio, la settimana lavorativa si protraeva ( e avveniva spesso )
senza interruzioni. La band si dedicava con grande fervore alle incisioni, ma
la composizione di pezzi nuovi si rivelava sempre un processo molto impegnativo
e non così spontaneo. E’ per questo che gli archivi dei Queen non contengono un
gran numero di brani inediti, anche se ai fan piacerebbe pensare il contrario.
di Peter Freestone
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